giovedì 24 marzo 2011

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Domenica mattina in un dormitorio studentesco di Ljubljana, mi sveglio e come da rituale consulto la pagina web della Repubblica.it, per sintonizzarmi con il mio paese d’origine.
Questo è ciò che leggo come primo articolo in prima pagina:

 “La maggioranza si rafforza giorno dopo giorno mentre le forze di opposizione non hanno leader, programmi, idee. Lo diciamo chiaramente: noi andiamo avanti e vinceremo la sfida della modernizzazione del nostro paese, lo faremo grazie ai nostri valori e all'entusiasmo di tanti giovani che, come Voi, vogliono un'Italia più libera. Sento il Vostro sostegno e il Vostro affetto. Per questo Vi ringrazio, Vi invio il mio più cordiale saluto e Vi auguro di realizzare tutti i sogni e i progetti che avete nella mente e nel cuore".

Esplodo, decido che è il momento di mettere per iscritto le mie sensazioni di “studente in trasferta all’estero da ormai 3 anni”. Il problema dell’Italia? La comunicazione: mancanza di dati ed esagerazione di opinioni. Mi è difficile, o praticamente impossibile restare informata su ciò che accade nel mio paese in modo oggettivo, leggendo l’informazione e basta. I giornali, i telegiornali, i programmi televisivi, sono costruiti attorno ad INTERVENTI.
Interventi di politici, di gente dello spettacolo. A volte è presente anche l’opinione della gente “comune” è vero, ma avviene normalmente per investigare sul modo in cui hanno approfittato dei saldi, o quale aereo hanno perso durante uno sciopero. Quello che manca a mio parere è una IMPARZIALE analisi di un avvenimento, che riporti, racconti le effettive conseguenze di una determinata azione-scelta, che faccia le dovute interviste a chi effettivamente è coinvolto nel cambiamento, non banalmente un tour di opinioni a politici di tutti gli schieramenti, che si presentano con il sorriso, giacca e cravatta e una frase pronta in “politichese” che il più delle volte non comunica niente a chi la riceve .

Le ricerche dell’Osservatorio Europeo sulla sicurezza e l’Osservatorio di Pavia hanno presentato una griglia con le percentuale di spazio dedicato ai diversi argomenti dai telegiornali dell’Unione Europea. Come precisa Giovanna Cavalieri nel suo articolo intitolato Inchiesta europea: Tg1 maglia nera dei telegiornali dell’Unione, lo studio è stato fatto prima dell’apparizione del telegiornale della La 7, diretto da Mentana.

I dati che si scoprono sono a dir poco scioccanti e danno molto su cui riflettere. Per citarne alcuni: la percentuale dei racconti sui “disagi della quotidianità” in Italia non supera l’8,2 %, mentre in Germania risulta essere più del doppio, 16,9%, in Francia e Gran Bretagna 17%, in Spagna addirittura 19,2%, chiara dimostrazione che l’intenzione dei media italiani è quella di non allarmare i cittadini ma far credere che ogni cosa funziona al meglio.

Questa è anche la mia impressione personale ogni volta che torno in Italia e guardo la televisione: tutte le questioni che navigando in internet appaiono preoccupanti e che mettono in allarme su ogni fronte, dalle questioni di politica interna, estera, condizione ambientale e scolastica, i servizi offerti dal più potente canale di informazione del nostro Paese spesso non vengono neanche menzionati. Come previsto invece l’Italia si guadagna il primo posto per lo spazio dedicato alle “frivolezze” con un esclusivo 12,8%, che fa alzare la media europea a un tasso di 5,30%, ma che vede  al secondo posto la Spagna con un misero 5,9%, e decisamente più in basso la Francia con 3%, il Regno Unito con 2,7% e la Germania con 1,9%.
 Informazioni che fanno quasi spavento. Per non parlare poi del clima di terrore che viene a crearsi nel nostro paese su questioni che riguardano la cronaca nera: l’Italia è di nuovo prima sfiorando il 12%, mentre la Germania non supera un modestissimo 1,5 %, l’Inghilterra 7,6% , la Francia 4,2% e la Spagna 4,5%. L’allarmismo italiano per la criminalità provoca così un “lecito” consenso alle proposte di “ronde” e la necessità di avere assicurata la SICUREZZA necessaria per continuare a vivere nel nostro mondo idilliaco. Ho trovato inoltre esorbitante leggere sempre sull’articolo di Giovanna Cavalieri : Il telegiornale tedesco della sera, per esempio mette in fila gli avvenimenti principali «nella considerazione degli interessi e dei problemi della popolazione». Nessun spettacolo. Proibito usare aggettivi. Figuriamoci le cronache con le parolacce. «L’obbligo é spiegare cosa succede senza nascondere i numeri sgraditi all’ufficialità». Sono sicura che gli abitué del Tg4 di Emilio Fede abbiano una concezione di “imparzialità” al quanto discostata dalla realtà. Per ultimo un dato che dimostra la riflessione fatta prima sul modo di presentare le questioni della politica interna : lo spazio dedicato dai media italiani fa vincere ancora il primo posto sulla media europea, con un 18,2%. Il distacco dagli altri paesi non è così rilevante come per gli altri argomenti, però si ha comunque la Spagna con la metà della percentuale italiana, 9,1%, poi la Francia con 11,8%, Gran Bretagna con 15% e la Germania a 15,4%.

La domanda che mi attanaglia è questa: come fanno gli italiani ad accettare un simile controllo dell’informazione? Non siamo stupidi, la gente ha sempre più la possibilità di rendersi conto di ciò che avviene attorno a noi, le notizie girano, si viaggia, i giovani vanno a studiare e a vivere in altri paesi. Perchè si ha la sensazione che invece queste percentuali invece di cambiare in meglio vadano verso direzioni sempre più disastrose? (vedi l’involuzione del Tg1).
 Come si può permettere un simile linguaggio, un uso di termini senza controllo, se ormai è ben risaputo che un gran numero di italiani lascia la televisione accesa praticamente tutto il giorno, “per farsi compagnia” come ammettono le persone anziane. Non è difficile capire che una notizia, anche se infondata, ma che riempie le orecchie di chiunque si sintonizzi sulla Rai o su Mediaset in tempo zero venga assimilata come vera.  E come è possibile che un giornale come La Repubblica, in data 27 febbraio 2011, come primo titolo della prima notizia lancia il link per ascoltare il discorso d Berlusconi che ha fatto al Congresso dei Cristiani Riformisti, dove parla della sua infanzia salesiana, del suo valore della famiglia, a neanche una settimana dagli scandali che l’hanno condannato a subire un processo per prostituzione?!
 Ma scherziamo? Ha ragione Charlie Broker, il conduttore della trasmissione 10 O’Clock Live della tv inglese Channel, a fare della comicità sul nostro paese, come dargli torto. Ma come studentessa italiana, dopo aver passato tre anni all’estero in tre paesi europei differenti, sono stufa e scioccata  nel trovarmi ogni volta dopo aver detto da dove vengo a sentirmi derisa e presa in giro, o ancor peggio essere guardata con aria interrogativa. Significative sono state le parole di un ragazzo sloveno che un paio di giorni fa quando gli ho detto la mia nazionalità ha commentato: “Ah sì italiana! Posso chiederti una cosa, che mi incuriosisce moltissimo? Cosa provi nei confronti di Berlusconi? Com’è essere italiana? Come lo vivi il fatto di provenire da una realtà dove la persona al governo riesce a fare tutto quello che vuole, controlla mezzi di comunicazione, cambia le leggi a suo favore, fa discorsi vuoti ma scenicamente coinvolgenti. Come fate voi italiani a non rendervi conto di star vivendo in un video games, in cui ogni vostro movimento è controllato e coordinato dall’alto?”.

Molto devo ai miei studi di antropologia, che sono utili per permettermi di allargare l’orizzonte di veduta su ogni notizia che leggo e fatto che prendo in analisi. Questa disciplina che si occupa di “studiare l’uomo”, ha come teoria principale l’idea che se qualcosa è guardato “da fuori” offre più punti di riflessioni e di poterlo osservarlo a 360 gradi. Inoltre i miei soggiorni all’estero per studio, prima alla facoltà di Antropologia dell’Università di Lyon, Francia, poi all’Universitad Autonoma di Barcellona, Spagna e ora all’University of Ethnology di Ljubljana, Slovenia, hanno fatto evolvere il mio sentimento e attaccamento verso il mio paese d’origine. Se prima volevo andarmene  perchè sicura di non poter trovare opportunità e libertà di espressione in Italia, ora voglio impegnarmi a capirla a fondo, per trovare degne spiegazioni.

Perchè il motivo principale del nostro paese non è ne Berlusconi, ne il berlusconismo in sé, ma è la necessità di avere personalità di potere, in ogni ambito. E se fosse perchè in Italia la concezione di potere e di gerarchia sia diversa rispetto ad altri paesi? Io come studentessa universitaria dopo un numero esaustivo di paragoni, metto sullo stesso piano il sistema politico e il sistema educativo italiano. Il Spagna per rivolgersi ad un professore gli si dà del “tu”. Ciò spinge quindi ad un rapporto più aperto e sullo stesso piano tra studenti e professori, che porta a discussioni e utili confronti. Mentre in Italia per quello che ho percepito io, la distanza tra “piano alto” e “piano basso” è presente ed è inculcata nella mente degli studenti. Il professore non è visto come fonte di sapere, che può essere consultato e che può esserci d’aiuto, ma come possessore di tutte le verità e da disturbare il meno possibile. Basti pensare alle ore di coda che bisogna fare per andare a parlare ad un docente nelle sue “ore di ricevimento”, mentre in altri stati come Spagna e Francia ci si mette d’accordo privatamente con il professore per accordare un momento del suo tempo dedicato espressamente al determinato studente. 

Un’altra caratteristica dell’università che a mio parere è riscontrabile anche nel mondo della politica è rappresentato dal loro sistema elitario. In Francia per frequentare l’università lo studente paga un massimo di 300 euro d’iscrizione. Inoltre un pasto completo alla mensa per tutte le fasce di reddito è di 2,80 euro. In Slovenia frequentare l’università è un servizio gratuito, un posto letto in un collegio è disponibile per tutti ed ha un costo che varia dai 50 ai 100 euro mensili, la “student card” permette di usufruire di sconti nei trasporti, e di mangiare pranzo e cena nei ristoranti di tutta la città alla metà del prezzo normale (con menu studenti che si aggirano tra 0,80 centesimi ad un massimo di 3 euro). In Francia e in Slovenia sono presenti nelle strutture universitarie anche dei dottori, psicologi, ginecologi e dentisti a disposizione degli studenti, a titolo gratuito.

Queste informazioni fanno capire che essere studenti in questi paesi vuole dire essere privilegiati su molti versanti, ma non per questo se la si prende “comoda”. La percentuale di coloro che è fuori corso è minima, esattamente quanto lo è incontrare studenti “in corso” a Palazzo nuovo, dove la famiglia paga fino a 2000 euro all’anno per le tasse universitarie, dove ci sono sconti solo per chi proviene da una famiglia a basso reddito e dove gli appartamenti hanno gli stessi prezzi che a Lyon, dove però il salario minimo è di 200 euro in più rispetto a quello italiano. Per concludere quindi l’università in Italia è vista come una scelta riservata “a pochi”, rispetto ad altri paesi europei, perchè il livello economico richiesto è molto più alto e non sono presenti agevolazioni significative. Se si prende in considerazione il fatto che molti italiani basano la loro informazione sul media televisivo unicamente italiano, che son condizionati nel loro percorso di studio da una concezione gerarchica del potere invece e in aggiunta che solo chi ha effettuato studi universitari accede a cariche politiche, si possono trovare alcune spiegazioni allo stato attuale del nostro paese.